EZLN da vent’ anni, la “lucha sigue”.

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Dopo 10 anni di organizzazione nella foresta lacandona, in Chiapas, l’esercito zapatista di liberazione nazionale dichiara guerra al governo messicano, con la ferma intenzione di occupare delle terre nelle quali costruire la propria autonomia basata su un buon governo. Succede il 1° gennaio 1994, dopo giorni di scontri violenti gli zapatisti ottengono le proprie terre. Oggi, a distanza di vent’anni, queste comunità indigene del Chiapas continuano nella loro lotta verso l’autonomia. Le loro comunità sono gestite da un governo centrale detto caracol, (lumaca). Ce ne sono cinque e coprono una vasta area della foresta, sono chiusi ad esterni e per entrare ci vuole un permesso speciale del centro di diritti umani. Siamo entrati nel caracol “Morelia” per indagare sui reali cambi di questi vent’anni.

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San Cristobal de las Casas, Chiapas: il caracol Morelia si trova a quattro ore dalla capitale dello stato del Chiapas e più ci si avvicina più ci si inoltra nella foresta e le strade iniziano ad esprimere carenze di asfalto. Si salta nei sedili di legno del rimorchio di un camioncino. I bambini si divertono, appesi fuori con le mani ben salde ai tubi perche con i sussulti i piedi potrebbero cedere. Alcuni vengono da scuole zapatiste e altri no, alcuni vivono in comunità in ribellione e altri in quelle del governo, per ora, però, non sembrano mostrare differenze sostanziali.
All’arrivo al caracol ci riceve una guardia incappucciata, dall’entrata non si vede molto a parte il fumo che esce da dietro gli alberi. L’incappucciato ci chiede se abbiamo una lettera di presentazione del centro diritti umani, senza di quella la giunta del buon governo non potrebbe riceverci, glie la consegno e lui va a consultare la giunta. Dopo mezz’ora ci portano dentro, nelle panche in cui aspettiamo di essere ricevuti. Il caracol è pieno di murales, tutti riconosciamo quello famoso, di Banksy, anche se colpiscono tutti i lavori, ci sono opere stupende e molto significative, tra cui quelle di Emory Douglas, delle pantere nere. In fila con noi c’è uno spagnolo, con dei bozzetti in mano, aspetta di presentarli per ottenere un muro da dipingere, sarebbe per lui un onore. Non ci vuole molto a capire che i muri dei caracoles sono di quei pochi nel mondo dove un “writer” deve assolutamente lasciare il segno, medaglie del writing. Intanto ci accompagna il suono ritmato dei machete di un gruppo di spaccalegna.

Si apre la porta, la giunta di buon governo ci riceve. “Terra e libertà” dice il murales dietro di loro, e un grande Zapata con le bandiere dell’EZLN e del Messico mostra la scritta “la terra è di chi la lavora”.  Sono sei, tre donne e tre uomini, i rappresentanti del governo zapatista e sono a volto scoperto. Alcuni indossano il vestito tipico, ricamato, con fiori coloratissimi. Con un poco di emozione ringraziamo per averci accolto e consegniamo loro un progetto, una lista di domande e un testo riguardo le foto, ci rispondono che al momento sono molto occupati e che comunque dovranno discutere molto riguardo il nostro progetto, quindi ci invitano a dormire e mangiare lì, ci risponderanno l’indomani. Subito dopo partiamo per fare un po’ di spesa in un negozio zapatista, accompagnati da due signori che andavano in paese. Nel tragitto veniamo fermati dalla polizia, noi, tre europei, avevamo dimenticato i documenti ma a quanto pare non servivano, l’autista dice di essere del buon governo del caracol di Morelia, il poliziotto vede che effettivamente l’adesivo sul parabrezza “il popolo comanda e il governo obbedisce” conferma quanto affermato dell’autista, ci lasciano andare senza neanche controllare i documenti. Noi ci guardiamo in faccia sconcertati, sembrerebbe proprio che gli zapatisti si siano conquistati i propri diritti di autonomia.

Il giorno dopo siamo pronti per l’intervista, staremo lì due ore a discutere su educazione, inclusione della donna, sanità e giustizia.

Il sistema educativo zapatista sembrerebbe essere ben strutturato, nonostante non abbia ancora una università, quali sono le importanti differenze con il sistema messicano?

Junta de Buen Gobierno: innanzitutto il nostro sistema è stato creato partendo dalle esigenze del popolo, dialogando con le persone, mentre il nostro governo non s’interessa delle necessità dei messicani. Inoltre il nostro metodo non è improntato sul ricevimento di un titolo, ma l’obiettivo è che attraverso lo studio si possa aiutare a compiere il bene comune, questo permette di puntare alla collettività a differenza del sistema tradizionale che insegna la competitività. Un’altra cosa importante è che, per com’è composta la nostra società, possiamo finalizzare lo studio alla professione, una volta finita la scuola si rivolgono alla comunità le proprie competenze in base ai bisogni generali, non si studia per andare a servire un padrone ed essere dipendente in una organizzazione piramidale.

– Quali sono le materie che insegnate? Ci sono anche materie pratiche?

JBG: le scuole elementari non hanno materie pratiche, ma al liceo, o meglio secondario, si lavora la terra. Questo serve a imparare l’attività che si svolgerà per tutta la vita e aiuta a liberare la mente, a imparare dalle leggi della natura, la quale lavora con tempi che sono diversi dal mondo industrializzato ed ha un ordine molto più complesso di quello artificiale. Tra le tante materie vi sono: politica, lingue e cultura, natura e storia.

– Le vostre comunità a volte sono divise tra zapatisti e non. Come vi comportate con le coltivazioni, quelli che usano chimici e prodotti Monsanto non influenzano i vostri raccolti?

JBG: si, ma abbiamo scelto delle comunità più distanti dove coltivare i nostri semi organici da sostituire con altri in caso di contaminazione. Resta difficile perché nonostante le distanze, le api continuano a portare polline non puro. Per noi l’agricoltura è la cosa più importante, quello che coltiviamo lo consumiamo noi, quindi cerchiamo di ottenere il meglio.

Dopo dieci anni nella foresta avete deciso di iniziare a combattere proprio il 1° gennaio 1994, giorno in cui si firma il trattato “NAFTA”, il libero scambio tra Messico, Canada e Stati Uniti. Come mai proprio quel giorno.

JBG: è stato simbolico, avevamo tutto pronto già da tempo, quel giorno dimostrava che il governo non ascolta i cittadini, soprattutto quelli indigeni. Con il NAFTA si palesava la volontà da parte del mal governo di svendere e sfruttare le terre del Chiapas, permettendo a USA e Canada di farne liberamente uso. Noi indigeni avremmo perso le nostre coltivazioni, le nostre culture e saremmo stati costretti a lavorare per le grandi imprese a prezzi ridicoli, in poche parole schiavizzati. Abbiamo dichiarato guerra al governo e siamo andati nelle piazze per dimostrare la nostra esistenza e la ferma volontà di non restare a guardare.

Il NAFTA è comunque stato firmato, sta in qualche modo mostrando effetti negativi?

JBG: certamente, ci sono vari programmi che con una maschera benevola stanno lentamente conquistando territori. In Messico la terra non si potrebbe vendere, soprattutto ad aziende estere. Attraverso il programma “PROCEDE” si stanno dividendo terre che prima erano della comunità, e quindi lavorate in gruppo, consegnando piccoli appezzamenti a singoli, agli indigeni, convincendoli che loro ne sono i proprietari. A queste terre sono state applicate delle tasse che unite ad altre spese, soprattutto all’inizio, mettono in difficoltà il coltivatore che si troverà costretto a vendere a investitori stranieri, o allo stato. Ci sono anche altri progetti come la crociata contro la fame, della Monsanto, che regala semi sterili ai contadini.

Per voi invece è diverso, avete una terra per tutti, è sufficiente per essere fuori pericolo?

JBG: anche se ora lo stato sta compiendo meno azioni nei nostri confronti, non ci possiamo sentire fuori pericolo. Quando una persona vende la propria terra e si ritrova senza niente, si va a lamentare e i partiti gli dicono che le terre migliori se le sono prese gli zapatisti, quelle terre sono di tutti e tutti hanno il diritto a riprendersele. In quel caso cerchiamo di includere quelle persone nella nostra organizzazione evitando la violenza.

La vostra organizzazione politica com’è strutturata? Quali sono le differenze con i partiti tradizionali?

JBG: la giunta del buon governo è composta da un partito che ha carica di tre anni. Questo gruppo è composto da sessanta elementi, a metà tra donne e uomini. Il partito viene comunque votato.  Questi sessanta ruoteranno ogni settimana costituendo la giunta. Si ruota ogni settimana perche è il tempo massimo in cui una persona può lasciare il proprio orto incustodito. Inoltre, anche se tutto procede più lentamente, abbiamo eliminato ogni possibilità di corruzione. Essere parte della giunta non gratifica economicamente e anche se è un compito difficile e pieno di responsabilità da molte soddisfazioni nel vedere che la comunità funziona.

Abbiamo visto che c’è una prigione all’interno del caracol, ci sono due persone, come funzionano il sistema carcerario e la vostra legge?

JBG: quelle persone sono in carcere per aver usato violenza verso le proprie mogli. Noi ci sentiamo obbligati a difendere le donne, soprattutto se si trovano in una situazione d’impotenza tale. Non piace a nessuno imprigionare un altro essere umano, quindi cerchiamo di rendere quel carcere un luogo di crescita. Abbiamo scritto la legge al riguardo pensando che ognuno di noi potrebbe cadere in errori trovandosi lì dentro. La pena massima, per cose gravi come lo stupro, la violenza o il furto di cose importanti è di sei mesi di reclusione. Vi sono poi pene più leggere, come per l’ubriachezza, in cui si applica un giorno di reclusione. In ogni caso la reclusione deve servire a imparare un lavoro o compierne uno per la comunità.

Nel caso in cui un esterno venisse qui e compisse un crimine o una violenza come agireste?

JBG: qui dentro si applica la legge zapatista anche verso esterni.

Le donne hanno ottenuto i loro diritti o resta ancora una battaglia aperta?

JBG: per noi donne è stato difficile. Quando abbiamo scritto la legge rivoluzionaria delle donne, ci siamo dovute impegnare tutte per cambiare le cose. Prima del 1994 non avevamo alcun diritto. Il cambio è dovuto avvenire dentro casa, discutendo a lungo con i nostri mariti e cercando di fargli capire i nostri diritti. Ottenere dei diritti implica dei doveri, per esempio, ognuna può scegliersi il marito che vuole e ovviamente se ne deve prendere le responsabilità, è stato infatti molto difficile anche per noi, quando una ottiene questi diritti non sa che farsene, ci vuole del tempo.

Vorremmo saperne di più sul vostro sistema di salute.

JBG: le nostre cliniche sono disposte in luoghi strategici della foresta, in modo che tutti possano giungervi. A volte ci troviamo a dover aiutare abitanti di comunità non zapatiste, ma non è per noi un problema, siamo tutti esseri umani, e poi dobbiamo sempre ricordare che noi stiamo lottando anche per gli altri.

Utilizzate un sistema di salute basato sulla medicina tradizionale, compreso l’uso della chimica?

JBG: noi, come indigeni, conosciamo meglio le piante che le pasticche, quindi cerchiamo prima di usare rimedi naturali, se non dovesse funzionare ricorriamo alla chimica. Non siamo molto attrezzati quindi in casi estremi siamo costretti a rivolgerci alle cliniche dello stato, ce ne sono alcune che ci accettano senza assicurazione.

Nelle vostre comunità tutti quanti devono innanzitutto coltivare, questo vale anche per i medici?

JBG: si, ma devono lavarsi molto bene le mani sempre.

Quale è stato il vostro maggior successo?

JBG: sicuramente l’eliminazione dei vizi, soprattutto il bere. Senza di questo non saremmo riusciti a fare molto.

Siete stati molto chiari, vi ringraziamo di cuore.

JBG: ci scusiamo per avervi fatto attendere tanto, ma è importante parlare bene, tanto e non avere fretta. Grazie a voi.

Dopo l’intervista ci hanno lasciato scattare un po’ di foto, ma non è stato sufficiente quindi abbiamo deciso di rimanere più giorni per poter esplorare più a fondo la vita nel caracol e giocare un po’ a basket con loro, gli zapatisti si sono rivelati dei grandi giocatori.

Nel caracol dormivamo in letti di legno, le docce erano fredde e il menù piuttosto monotono, riso, fagioli e tortillas. Non deve essere facile vivere nel caracol, ma comunque si respira un aria di allegria e collaborazione. Quando siamo andati via, lo spagnolo aveva finalmente iniziato il suo murales.

La giunta di buon governo a lavoro.
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L’opera di banksy
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Il fazzoletto zapatista si chiama Paliacate.
 
 
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In cucina i fagioli sono sempre in pentola
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© Alessandro Parente, all rights riserved.

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